Parigi.. on a perdu toute notion d’heure!
di Francesca Barzanti
Parigi la città dell’amore. Parigi la città della passione. Parigi la città del romanticismo… ma io ho sempre preferito Londra, anzi Dublino, anzi Cork, anzi il Donegal, anzi basta che mi parli in inglese che sono felice. Ma Parigi forse lo sa cosa penso e si impegna a farmi cambiare idea…
E’ quasi un anno che non ci vediamo io e Marjù, lei con i suoi capelli ricci fumo colorato che vola via e gli occhi grandi che guardano dove io non arrivo, ed io che di lei ricordo tutto anche il profumo che mi è sembrato tante volte di sentirlo in giro.
Così ci diciamo che ci vediamo a metà strada, fra la Bretagna e la Romagna, a Parigi che ci son stata solo una volta io quando non ero felice, e tante volte lei ma mai con me che dice quando siamo insieme il tempo non esiste più e camminiamo sulle nuvole.
Prendo il TGV da Torino presto la mattina, prendo il TGV che ho il batticuore tanta è la voglia di vedere la mia Marjù, prendo il TGV insieme ad un nerino simpatico che parla francese e mi guarda fisso… mentre io non capisco mica quel che dice ma mi piacciono le attorcigliature che fa la sua faccia accartocciata sotto l’ombra delle gallerie verso la Francia.
Ma Parigi forse lo sa cosa penso e si impegna a farmi cambiare idea… arrivo a la Gare di Lyon e sento il profumo del fumo colorato di Marjù che mi soffoca nel suo abbraccio solito con le guance rosse freddo, gli occhi spalancati e tutta una serie di esclamazioni francoinglesi… che mi sembra di averla vista l’ultima volta la sera prima.
L’ostello dice Marjù è vicino al Moulin Rouge.. che ci abbiamo il debole per questo Moulin Rouge io e lei, che prendiamo le nostre valigie grasse e cantiamo “I hope you don’t mind…” nelle scale della Gare di Lyon, “I hope you don’t mind…” nella metro, “I hope you don’t mind…” per la strada, “I hope you don’t mind…” dentro l’ostello davanti alla gialla che sta alla reception e ci guarda strano.
La camera è da sette e ci piace stare nelle mega camere con mega gente che poi di notte ne vedi una che russa, una che parla, una che salta, una che piange perché uno non la vuole, una che ti chiede chi sei… ed ogni notte non è mai uguale e a me e Marjù ci piacciono le cose che non sono mai uguali.
Lasciamo le valigie e ci chiudiamo in un bar a caso, ci mettiamo sul tavolino davanti al vetro che guarda la strada, i passanti francesi veloci, ed i turisti lenti, e ci beviamo lei un Pastis, che c’è l’anice a non mi piace, ed io una birra che mi fa sempre bene. E fumiamo le sigarette verdi di menta che solo quando siamo assieme le fumiamo, e lei mi racconta ed io le racconto, che il tempo se ne va e siamo solo noi e basta.
La mattina Parigi è tutta un brusio, camminiamo in strada fra case di storia e piazze di fiori che tutto sembra vibrare, come se ci stessero aspettando anche i palazzi antichi e ci fissassero lì che voliamo nell’aria che sa di cannella di crepes che avvolge il museo all’aria aperta che si chiama Parigi.
Ed io penso che voglio Monet, e Marjù dice che mi porta all’Orangerie dove vive ora questo Monet dentro i suoi quadri di ricordi colorati e sfumati, e guardo le sue nuvole che fanno da sfondo ai miei pensieri. E poi ancora impressioni degli impressionisti al Museo d’Orsay, dove Marjù saltella con l’audioguida ed io invece con la musica che voglio io nelle orecchie seguo le ballerine di Degas cercando la Cattedrale di Ruen di Monet che cambia colori con le luci del giorno. E poi anche un attimo al Louvre dove ci aspetta Monna Lisa, la Gioconda di Leonardo, signora di Parigi che pensa e sorride insieme.
Usciamo che cantiamo e schiacciamo la faccia nelle vetrine dei negozi vintage che li trovi solo a Parigi quei negozi lì con le cose usate quando noi non c’ervamo che adesso che ci siamo le possiamo riusare come vogliamo, e saliamo fino a Montmartre che fra piazzette e stradine guarda con noi Parigi dall’alto e che prima di noi l’ha guardata con Picasso Modigliani.
La sera ceniamo in un bistrot nel centro centro con Tifèn e David che a Parigi ci vivono da sempre, e poi passeggiamo davanti a Notre Dame fra le ombre nascoste dietro ai lampioni accesi, mangiando Häagen-Dazs che anche se è americano, lì fra giocolieri e musicisti di strada che ti guardano, sembra di Parigi anche quello.
La mattina dopo sveglia presto verso Les Puces, il più grande mercatino delle pulci del mondo, a passeggiare fra arredamenti d’antiquariato, vestiti nuovi ma vecchi, lampadari strani, cravatte impazzite, e parigini che raccontano la storia della città come vogliono loro e te ci credi perché sei lì.
Poi crepes salate e via verso la Torre Eiffel che fa capolino in tutte le cartoline e depliant e che quando ci vede dal vivo a me e Marjù, che ora stiamo cantando la Vie en Rose lei in francese io in qualche lingua che non esiste, ci invita a salire fino in cima e sembra dirci che fra lei e Montmartre c’è amoreodio per chi meglio riesce a vederla tutta questa Parigi.
La sera vogliamo vederlo dal vivo il Moulin Rouge e ci presentiamo vestite un po’ bene all’ingresso che costa tanto e non ci fanno entrare, ma allora noi non ci intristiamo mica, ci mettiamo lì davanti nella minipiazzetta e ci fotografiamo con le ballerine di can can che stanno sul muro, e ci diamo il ciucciabocca per assomigliare a loro, e cantiamo “how wonderfoul life is… now you are in my world” fino alla fine.
Il giorno dopo si rivà via, stazione, un treno io e l’altro Marjù, e ci salutiamo che lei ha gli occhi rossi ed io guardo le mattonelle rotte per terra, e sono triste che Parigi con Marjù non voglio finisca mai, e Marjù con Parigi ha il sapore di cioccolata alle mandorle, e Parigi anche da sola lo sa davvero come incantarti, e prenderti all’improvviso, e stupirti e farti scappare via dalla realtà, e non è vero che ci devi andare con l’innamorato perché a Parigi da solo non sei mai: c’è la Torre Eiffel che ti controlla dall’alto, c’è Monet che non ti lascia andare via da casa sua e c’è il Moulin Ruge che canta per te.