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Roma eterna, artistica, infinita, speciale… ed i romani de Roma dove si nascondono?

di Francesca

Abbiamo deciso di andare a Roma perché la Patty non c’è mai stata, anzi dice che c’è stata “ma solo così di sfuggita“, solo così un paio di giorni volanti e via, solo così senza vedere niente che stava sempre nell’hotel.

Saliamo sul treno il venerdì mattina presto, una donna litiga col controllore, la carrozza ristorante sa di mensa, e seduto di fianco alla Patty c’è un giallo strano con i baffi sparsi. La Patty ride, io lo guardo e rido, ma lui mette la cartina della capitale fra lui e la Patty e si dimentica di noi.

Uffa.

Passata Firenze sale un gruppo di ventenni tutti “aoh, aoh”, uno si siede di fianco a me e penso che anche se ha 20 anni mica è brutto anzi. Così lo guardo che anche lui sta guardando il giallo sparso e anche a lui gli viene da ridere. Prendo un foglietto e disegno la faccia del giallo e poi la passo al ventenne che la regala al giallo che sembra contento del disegno.

Così scopriamo che il giallo è giallo della Corea e fa il baritono alla scala di Milano, e che il ventenne ha diciannove anni, gioca a Rugby ed è di Ostia. E arriviamo a Roma Termini che ci dispiace a tutti e quattro salutarci.

Il bed and brekfast è a Trastevere che dicono di sera è tutta giovani e localini dentro ai muri vecchi delle strade strette, spioviggina ma Roma mi ha già coinvolto, guardo dai finestrini dell’autobus e mi sembra di stare dentro un enorme museo all’aria aperta, e ogni strada è storia, e ogni piazza è arte, e ogni fontana ha qualcosa da raccontare.

Scendo dall’autobus e saltello fra le pozzanghere con la mia valigia grassa e mangio l’aria che sa di così solo quando sono a Roma, sono ormai vent’anni che ci vado e vent’anni che sento quel sapore lì solo a Roma.

Lasciamo le valigie e ci lanciamo a caso su di un autobus, chiediamo dove va, l’autista risponde un po’ di vie e piazze e noi scendiamo a Piazza Venezia che poi da lì se cammini un po’ e giri a destra e sinistra trovi tutto, Piazza Navona, il Panteon, la Fontana di Trevi, Piazza di Spagna.

Noi giriamo un po’ e troviamo Campo dei Fiori che piove e ci sono i gialli rivestiti di stoffa impermeabile, gli inglesi con li ombrelli colorati male, e le bancarelle con i fiori dai profumi bagnati. E anche se piove sorridono tutti, e i romani de Roma se ci fossero e ci vedessero sorriderebbero anche loro, che come si fa ad essere tristi a Roma?!

Ma dove stanno i Romani?

Cerchiamo un barettino nascosto e beviamo un bicchiere di rosso de Lì Castelli, poi spiove e ci incamminiamo a caso, seguiamo i bimbi in gita in fila per due che attraversano il verde del semaforo, chiediamo informazioni ad uno che fa una fotografia, e ci facciamo immortalare da un gruppo di spagnoli camminando “sul lungo Tevere” di Baglioni fino a Castel Santangelo.

E poi in fondo ad un viale di luci che sembra infinito lo intravediamo maestoso “il Cupolone” di San Pietro che dall’alto guarda Roma ed i turisti, e lui lo sa dove stanno i romani, e vuole quasi fare la guardia al Vaticano, e alle bellezze di una città unica al mondo.

La sera ci infiliamo nelle viuzze di Trastevere, lontano dalle bancarelle piene di colossei segna tempo, cartoline di Roma in ogni stagione e penne di Piazza di Spagna, e ordiniamo maccheroni cacio e pepe chiuse in un ristorante piccino che sembra la casa di qualche film in bianco e nero della commedia all’Italiana.

Sabato mattina continua a piovere ma non ci riusciamo a rassegnare, prendiamo l’autobus 8, di nuovo a piazza Venezia e via destinazione Panteon, caffè alla casa del caffè dove si dice ce vadano i seri e i fighetti, e poi dentro il Panteon dove i gialli rivestono i muri e gli inglesi ascoltano le guide elettroniche ed io mi chiedo ancora “ma i romani de Roma dove vanno?!”.

Camminiamo sotto gli ombrelli ed i portici fino a Piazza di Spagna, fermiamo la gente che sorride agli angoli sotto le tettoie, nessuno ha fretta, anche se piove si trotterella con l’ombrello o senza, ci si ferma davanti alle vetrine, nelle verande dei bar, e vicino alle fontane.

Scendiamo dalle scalinate della Piazza come fanno le modelle, ci fotografiamo, ci crediamo poco, ma è troppo divertente.

Per pranzo ci chiudiamo in un localino dietro al Panteon, un posto matto col gestore finalmente de Roma e il resto dello staff di tutto il mondo. Uno di quei pub che sembra non ci sia più entrato nessuno da quando hanno inventato la play station, l’adsl e la tv satellitare, ma che se ci entri allora scopri che, anche se è rimasto a quei tempi laggiù, continua a vivere ed è pieno di gente strana: due danesi che si baciano sulla bocca, una vecchietta del Testaccio che dice che mangna lì da vent’anni, una famiglia di africani con l’accento romano, e un gruppo di studenti erasmus che sono alla quarta bottiglia di vinello.

Il pomeriggio il cielo si calma, le pozzanghere si fermano e noi fra un angolo e una piazza ci troviamo davanti alle fontana delle tartarughe “che qui ci han girato un sacco de film” dice un signore che fuma fuori da un ristorante, proseguiamo verso il quartiere ebraico, poi un ponte e poi il Tevere e non piove proprio più, e il sole salta da una nuvola all’altra e prima o poi ce la fa a farsi spazio.

La sera di nuovo Trastevere, incontro Diego che è de Roma e ci porta da Augustiello che c’è la fila fuori ma dentro con 11 euro pollo e carciofi alla romana e buon vino della casa. E qui sì che ci vanno i romani de Romaquelli doc, quelli che non li vedi a Piazza di Spagna o davanti al Colosseo, quelli che sembrano nascondersi nei posti veri dove assapori il gusto della routine di chi a Roma ha la fortuna di viverci da sempre.

Domenica mattina all’alba ancora Campo dei Fiori, con la piazza deserta, qualche spazza strade, ed il sole che finalmente esce, riscalda l’acqua della fontana, colora i fiori, e fa magia con gli sprazzi di nuvole che se ne vanno. Poi giù lungo i fori imperiali fino al Colosseo dove le guardie finte vestite da romani salutano i gialli che gli fanno le foto.

Prendiamo la metro, che non l’avevamo ancora presa, e scendiamo a Piazza del Popolo direzione Villa Borghese, fa caldo e le gente fa footing, saliamo in mezzo al verde e alle statue fino al laghetto con le brache a remi. Ci fermiamo alla casetta del cinema piena di bimbi e mamme e babbi in maniche corte, ci sediamo al sole mangiandoci un dolce e guardando le cime degli alberi senza vento e pensando che se vivessimo a Roma lo potremmo fare tutte le domeniche.

Riprendiamo il treno Roma-Milano dopo pranzo, il giallo e il diciannovenne non ci sono più, e nemmeno qualcuno un po’ uguale a loro, sono tutti lavoratori stanchi, col portatile, incastrati fra il sedile, i loro pensieri e la frenesia, si sale verso il nord dove la gente non ha tempo di raccontare e dove quella che non centra nulla sono io.