Ottobre: due settimane nel continente africano, tra natura selvaggia e spiagge coralline.
Siamo partiti martedì 9 ottobre sera da Milano Malpensa, ci sono stati 40 minuti di ritardo ma sono cose che capitano. La mattina successiva siamo atterrati a Zanzibar alle 8:30 circa. Alla discesa dall’aereo la sensazione è stata tremenda: caldissimo e umidissimo! Ovviamente ce lo aspettavamo, avevamo letto parecchie cose su Zanzibar nei mesi precedenti.
L’unica vera nota negativa di tutta la vacanza è proprio l’aereoporto locale. Le valigie vengono scaricate e trasportate A MANO fino ad una stanzina con una sola apertura sul muro e viene fatta uscire una valigia alla volta.
Immaginate la ressa di quasi 200 italiani (erano arrivati quasi contemporaneamente tre aerei) davanti ad un unico tavolino che mostrava una valigia alla volta. A quel punto chi stava davanti urlava il nome appeso sul bagaglio e poi si passava il fardello sopra alle teste di tutti. Ma d’altronde… siamo in AFRICA NERA.
Preso il bagaglio ci siamo diretti verso l’uscita quasi sollevati per aver trovato i bagagli integri e ci ha fermato la polizia dicendo “Ti apro la valigia o dammi mancia”. E’ una pratica da non assecondare per non spingerli a perseverare, certo che la voglia di litigare con un poliziotto locale non ci passava minimamente per la testa. Il problema è che la stessa solfa te la devi sentire da ogni agente che incontri fino all’uscita… e si schierano tutti lì, ovvio!
Almeno, una volta fuori, il personale della Ventaglio ci ha accolti e portati all’autobus per il trasferimento al villaggio.
L’isola è molto bella come ambiente naturale, verde e piena di palme, manghi, banani, ecc… ma la gente vive in condizioni di estrema povertà. Vedi dal vivo le immagini che fino a quel momento hai sempre visto in TV: case di fango, vecchissimi camion scassati carichi di gente, bambini seduti per terra, qualche mucca magrissima libera di girare per i prati. I negozi sono baracche con qualche insegna scolorita appesa davanti… ma molti uomini per la strada HANNO IL TELEFONINO. Una cosa comunque da sottolineare è che tutti i bambini sono giocosi e sorridenti; tutti con gli occhietti vispi che salutano al passaggio delle corriere. Questo sdrammatizza non poco lo scenario.
In un’oretta scarsa di strada siamo arrivati al villaggio e di colpo tutto il contorno cambia decisamente.
Il villaggio Karibu è bello, la struttura si vede che è un po’ datata ma è tenuta bene, e poi in camera c’è l’aria condizionata, la cassaforte… non mancano le comodità. A questo punto il grande caldo diventa solo un piacere vacanziero.
Il giardino del villaggio è ben curato e pieno di fiori profumatissimi che da noi non si trovano. I giardinieri e le mamy (le ragazze addette alla pulizia delle camere) sono simpatici, gentili e salutano sempre. Altra cosa carina: ogni giorno trovavamo il letto rifatto con una composizione di fiori freschi sulle lenzuola, ogni giorno disposti in maniera diversa.
C’è un po’ di muffa sulle pareti dei bungalows, poca cosa in realtà, malgrado vengano riverniciati costantemente, e un po’ se ne sente l’odore appena si entra nelle camere. Questo è dovuto al clima estremamente umido dell’isola, ma vi garantiamo che appena si accende il condizionatore l’odore di muffa se ne va. Altre persone che avevano provato anche altri villaggi di Zanzibar ci hanno riferito che è così dappertutto.
Abbiamo passato il mercoledì 10 e il giovedì 11 in pieno relax da spiaggia, peccato solo che il giovedì il condizionatore si sia rotto e non l’abbiano aggiustato in tempo prima della nostra partenza per il safari.
Abbiamo conosciuto subito i “beach boys”, ossia i ragazzi locali che stanno tutto il giorno in spiaggia cercando di venderti i loro manufatti o cercando di convincerti a fare le escursioni con loro invece che con l’organizzazione del villaggio. Con loro le uscite costano molto meno e, a quanto ci hanno riferito persone che le hanno provate, sono piacevoli e ben organizzate, pranzi compresi.
Una cosa che ci ha decisamente colpiti è che i ragazzi locali si ricordano in maniera perfetta i nomi di tutti e quando vedono che sei una “faccia nuova”, ossia che sei appena arrivato a Zanzibar, ti stanno addosso in maniera assillante fino a quando non arrivi ad essere anche scontroso purché ti lascino andare a fare il bagno. Infatti si sistemano sul bagnasciuga e aspettano quelli che vanno verso l’acqua; quando arrivi a fermarti da uno di loro ne arrivano altri tre o quattro ad insistere. Alcuni sono simpatici (per esempio un ragazzo che si faceva chiamare Jeremia, al quale abbiamo commissionato delle tavolette in legno con i nomi incisi ed al quale abbiamo regalato il nostro shampoo prima di tornare a casa), mentre altri sono decisamente infastidenti (come un tal Gattuso… che fantasia sul nome… molto maleducato. Non abbiamo comprato nulla da quelli che si comportavano come lui).
Comunque tutto sommato in spiaggia si stava proprio bene (all’ombra delle palme!!! Abbiamo visto molta gente girare con ustioni serie… Mai sottovalutare la potenza dei raggi solari quando si va in questi posti!). Zanzibar è parecchio sottoposta al fenomeno delle maree, e quando siamo arrivati noi c’era luna nuova (quindi ci hanno spiegato che dalla alta alla bassa marea c’erano fino a 4 metri di dislivello!!!). Alla mattina il mare quasi spariva, abbiamo camminato per centinaia di metri sopra la barriera corallina (barriera morta… quella viva è più al largo) con l’acqua che arrivava al massimo alla vita e abbiamo dovuto fare lo slalom tra stelle marine e centinaia di ricci.
Al primo pomeriggio invece il mare torna normale e infine, verso sera, sale fino a toccare il muretto del villaggio. Di notte sentivamo il frangersi delle onde dell’oceano: nulla a che vedere con il rumore del nostro Adriatico.
Al Karibu si mangia discretamente bene, c’è una buona varietà di portate e ci sono sempre a disposizione carne e pesce grigliati al momento. Non abbiamo mai assaggiato il vino (tutto sudafricano), ma la birra locale è proprio buona, leggera e piacevole. La frutta ha tutto un altro sapore rispetto a quella che arriva da noi. Ananas e cocchi sono delicati e buonissimi. Provare per credere!!!
Comunque è inutile nascondere che i primi due giorni sono trascorsi in spasmodica attesa della nostra visita nell’Africa continentale.
Venerdì 12 ottobre, ore 8:15 partenza dall’aereoporto di Zanzibar per il safari con un aereo 11 posti della Zan Air (prima di salirci ero personalmente un po’ titubante sulla qualità del volo, invece il viaggio è stato tutto sommato piacevole) e siamo atterrati 50 minuti dopo al Mtemere Gate, una lingua di terra battuta in mezzo alla savana che termina direttamente sul fiume Rufiji.
L’aereo prima di atterrare ha dovuto passare tre volte sopra alla pista per allontanare giraffe e impala che ci stavano pacificamente soggiornando. L’avventura del safari è iniziata praticamente ancora in volo! Appena scesi abbiamo trovato pronta la jeep che ci ha accompagnato in dieci minuti al Rufiji River Camp. Eravamo in sei persone partite dal Karibu (noi e altre due coppie con qualche anno in più, ma tutte persone piacevoli). Abbiamo fatto squadra fissa per tutte le uscite dei tre giorni.
Arrivati al campo, abbiamo lasciato le valigie in reception e siamo immediatamente scesi all’imbarcadero per l’uscita sul fiume. La nostra guida, Bernard, parla inglese e conosce anche parecchi nomi di animali in italiano; è stato gentile e molto paziente a tutti i nostri “One moment please”, visto che non siamo di certo fotografi professionisti o cineamatori rodati.
Abbiamo visto un sacco di animali. Tutti quelli da ambienti acquatici (decine di ippopotami e coccodrilli, uccelli di vario tipo, ecc…) e un sacco di animali terrestri che stavano bevendo lungo le sponde (giraffe, elefanti, facoceri, antilopi, babbuini, ecc…).
Ci è anche capitato di trovare un branco di coccodrilli che si stavano mangiando un piccolo di ippopotamo… Abbiamo spento i motori per non disturbarli e piano piano la corrente ci ha portato proprio in mezzo a loro; ci passavano da tutte le parti, anche sotto la barca. Una scena da documentario!!! I coccodrilli sono decisamente inquietanti quando ti fissano con i loro occhi gialli a pelo d’acqua.
Lungo il fiume panorami bellissimi con la vegetazione che cambia di continuo da un Km all’altro. Centinaia di palme Borassus, acacie, cespugli di ogni dimensione e qualche baobab.
Arrivati nel punto più lontano, prima di iniziare il rientro, ci siamo “spiaggiati” su un isolotto nelle anse del Rufiji; siamo scesi a terra e Bernard ha tirato fuori un frigo portatile pieno di bibite fresche. E’ stata una piacevole sorpresa nei 30 gradi della savana (clima molto secco, contrariamente da Zanzibar, quindi ben sopportabile). Siamo ripartiti e poco dopo mezzogiorno siamo rientrati al campo per il pranzo.
Dobbiamo anche sottolineare che al Rufiji River Camp si mangia alla grande!!! Cucina di stampo molto italiano anche se il campo è internazionale (non è della Ventaglio, è un’organizzazione tanzaniana, ma il direttore è un gentile signore di Bologna che vive lì da 15 anni). Noi 6 eravamo gli unici italiani; gli altri tavoli erano occupati da danesi, svizzeri, tedeschi e altri.
Hanno un efficientissimo depuratore (dettagliatamente descritto nella scheda che abbiamo trovato in tenda) che rende perfettamente potabile l’acqua del fiume sottostante tirata su da una pompa. Sembra di bere la normale acqua di acquedotto con lo stesso gusto di cloro che abbiamo a casa. L’abbiamo bevuta tutti e non ci ha dato nessun tipo di disturbo, tra l’altro tutte le altre bevande erano a pagamento. La stessa acqua arriva direttamente anche in tutte le tende. Non ci è mancato proprio niente!
La corrente elettrica è fornita da pannelli solari e da un gruppo elettrogeno a motore. Presso il bar, e solamente in quella locazione, sono presenti una serie di prese elettriche (sia di tipo inglese, sia di tipo italiano) per ricaricare macchine fotografiche e videocamere, mentre la luce elettrica è presente in tutte le tende. Il gruppo elettrogeno viene spento dopo le 22:30, e da quel momento in poi rimane solo la corrente fornita dalle batterie per i frigoriferi dell’area ristorante.
Le tende sono specifiche da safari, di un tessuto di color verde militare grosso e resistente e con la chiusura a tre cerniere (una verticale e due orizzontali). Hanno il pavimento in linoleum su base di cemento, il tetto tipico in makuti (foglie di palma essiccate) e ognuna ha il proprio bagno interamente in muratura completo di doccia. Sono pulitissime, con sanitari nuovi e lucidi, acqua corrente calda e fredda, letto comodo con zanzariera integrale, attaccapanni e piccola scrivania. Rispetto alle nostre aspettative, siamo rimasti piacevolmente sorpresi!
Al pomeriggio siamo usciti per il giro in jeep. I mezzi sono tutto sommato comodi, hanno un posto a fianco dell’autista, due dietro e tre su un divanetto rialzato sopra al portabagagli (noi siamo stati sempre in quest’ultima sistemazione “privilegiata”). Purtroppo si viaggia in piste nel bel mezzo della savana e quindi sembra di stare tutto il tempo sul Tagadà, ma non ci facevamo nemmeno caso da quanto eravamo concentrati a guardare tutto quello che ci circondava.
Ad un certo punto è arrivata la chiamata via radio da un’altra jeep che aveva avvistato un branco di leoni dormienti sotto alcune acacie e siamo partiti a razzo per raggiungerli.
Durante il tragitto decine di animali di tutti i tipi (giraffe da qualsiasi parte ci voltassimo, zebre, gnu, antilopi delle varie specie, ecc…).
Trovare i leoni è stata un’esperienza emozionante oltre ogni immaginazione. Si trattava di un piccolo branco formato da 1 maschio e 3 femmine. E’ incredibile come non si interessino minimamente alla jeep, la considerano parte del paesaggio e non si curano della sua presenza, tanto che le guide si inoltrano il più possibile (passando sopra a cespugli e quant’altro) per portarti proprio accanto a loro che sonnecchiano, e poi spengono il motore. Vi garantiamo che in quei momenti tutti trattengono il fiato e al massimo bisbigliano sottovoce. La tensione è davvero tanta, e se per caso ti capita di incrociare i tuoi occhi nei loro (come è successo a me con il maschio)… senti un brivido freddo lungo la schiena!
Abbiamo notato che la leonessa sdraiata vicino al maschio aveva il pelo del viso sporco di sangue (non suo) ed infatti poco lontano, ad un centinaio di metri, c’era la carcassa di un bufalo decisamente fresca, probabilmente ucciso durante la notte e appena divorato. In quel momento era circondato di avvoltoi che stavano finendo gli ultimi resti. Poco dopo i leoni si sono mossi uno dopo l’altro per andare al fiume a bere e noi li abbiamo piano piano seguiti per gustare tutta la scena.
Finito il “simposio” le femmine si sono sdraiate in fila indiana e tutte rivolte verso la medesima direzione: stavano guardando un piccolo branco di zebre in lontananza, e le zebre ricambiavano gli sguardi!!! Bernard ci ha detto che in quel momento le leonesse stavano osservando le prede per scegliere quella più debole (che zoppichi o che resti indietro rispetto alle altre), per la prossima caccia notturna.
Abbiamo ripreso il nostro percorso e, sulla strada del rientro verso il campo, quasi al tramonto, un’altra grandissima emozione: un branco di più di 40 elefanti (adulti e piccoli) che ha iniziato ad attraversare la strada davanti a noi. Abbiamo spento il motore ed abbiamo aspettato un buon quarto d’ora che transitassero con la loro grande calma. I colori del tramonto e la scena che avevamo davanti hanno creato un evento che rimarrà stampato nella nostra memoria a vita. Un’altra cosa che ci ha lasciato sbalorditi è che gli elefanti ci camminavano a 20 metri di distanza e non si sentiva nessun rumore di passi! E’ incredibile, visto che quando camminavamo noi nei sentieri facevamo un rumore enorme, e che loro pesano anche 4 o 5 tonnellate!
A branco quasi finito ci è scivolato l’occhio sulla destra e di fianco alla jeep, dietro dei cespugli, c’era un enorme maschio decisamente infastidito per la nostra presenza; probabilmente ci ha ritenuto una minaccia per i piccoli che stavano passando vicini. Bernard, quando ha visto che si atteggiava minaccioso, ha cercato di accendere la jeep che però NON SI E’ AVVIATA AL PRIMO COLPO!!! In quel momento capisci che cosa sia la “paura primordiale”, quella che devono aver provato i nostri progenitori nelle ere passate davanti alla minaccia di un animale molto più forte. Per fortuna eravamo in leggera salita, quindi, togliendo il piede dal freno, la macchina ha indietreggiato piano piano senza la necessità di provare di nuovo ad accendere il motore (che avrebbe magari infastidito ancora di più il bestione). Vedendo la nostra “ritirata” l’elefante si è un po’ tranquillizzato ed ha attraversato la strada, comunque guardandoci di continuo e tenendo il corpo in posizione laterale in maniera decisamente minacciosa. Fa molto più paura un elefante che fissa la jeep rispetto ad un leone, credeteci!!! Comunque tutto è andato liscio e siamo tornati al campo senza problemi.
Ogni sera, durante la cena, arrivavano al campo da un villaggio poco lontano alcuni maasai (VERI maasai, non come quelli che vendono statuine in spiaggia a Zanzibar) che si mettevano in fila vicino al bancone del bar. All’inizio non avevamo capito perché, poi te lo spiegano: il campo non ha nessun recinto e di notte viene regolarmente attraversato da animali. Quindi dopo cena si è liberi di chiacchierare davanti al fuoco oppure ci si può soffermare a guardare le stelle dall’area relax (mai viste così dalle nostre parti nemmeno in montagna sopra i 2000 metri), ma quando si vuole tornare in tenda bisogna chiamare uno dei maasai, che ti accompagna fino all’entrata della tua. Non parlano italiano e pochi parlano un po’ di inglese… basta dire solo il numero della tenda (meglio se in swahili) e loro ti guidano nel buio pesto armati di lancia affilatissima e torcia elettrica. E’ un popolo decisamente affascinante; hanno lineamenti del viso molto aggraziati e quando camminano non si sentono i passi, sembra che levitino sul terreno, mentre i nostri scarponi facevano un rumore enorme a confronto. Le loro vesti sgargianti, poi, sono proprio particolari e risaltano molto con la loro pelle scura.
Arrivati alla tenda trovavamo ogni sera una lampada ad olio messa davanti l’entrata, per tener lontani gli animali e, una volta dentro, i maasai rimanevano fuori a vegliare fino all’alba. Le tende sono tutte dislocate a gruppi di tre in un’area abbastanza grande e quindi per la notte rimangono gruppetti di tre maasai a fare la guardia (e li si sente a volte chiacchierare in swahili o intonare i loro canti a voce bassa nel buio…). Se di notte si avvicinasse alla tenda un animale potenzialmente pericoloso (ippopotami o iene al massimo) loro fanno vibrare i sonagli che hanno a polsi e caviglie e gli animali si allontanano, oppure, se sono proprio vicini, li illuminano con le torce e li mettono in fuga.
Per tutte e tre le notti passate lì una giraffa è venuta a mangiare dall’albero che avevamo dietro alla tenda; in alcuni momenti di particolare silenzio la si sentiva anche staccare le foglioline con i denti; la seconda notte abbiamo avuto anche la compagnia delle iene, che hanno invaso il campo forse a caccia delle scimmiette di Vervet che ci vivono stabilmente. Sentivamo in tutte le direzioni i loro tipici richiami che usano mentre cacciano di notte… e non si dorme!!! Un filo di adrenalina costante ti fa stare sveglio e in totale silenzio. Ci scappava la pipì, ma ce la siamo tenuta fino al mattino pur di non alzarci e rischiare di fare un qualsiasi rumore, anche se ci hanno detto che dentro le tende non si corre alcun rischio.
Sabato 13 ottobre è stata la giornata dedicata all’uscita in jeep di una giornata intera. Ci ha guidato Raymond questa volta, un ragazzo di 24 anni originario di Dar Es Salaam, ex capitale della Tanzania; anche lui parla perfettamente inglese e quindi capirci non è stato un problema. Partenza con destinazione il lago Manze, a quasi 50 Km dal campo passando per la savana aperta, discostandoci non poco dal fiume. Nel tragitto si continua la grande carrellata di animali di tutti i tipi, compresi una coppia di bufali e due iene solitarie, animali che non avevamo visto il giorno prima.
Una nota sui bufali: ci siamo tenuti a debita distanza da loro in quanto hanno un carattere decisamente ostile e imprevedibile. Se ci ritengono una minaccia possono caricare la jeep anche improvvisamente, e la cosa non deve essere per nulla piacevole da provare!
E’ in questa mattinata che è avvenuto il secondo incontro con un branco di leoni; questa volta si trattava di un maschio e 4 femmine, tra cui una visibilmente più giovane degli altri, quasi un cucciolone. Infatti abbiamo vissuto in diretta una scena da “quadretto familiare” con una leonessa adulta, forse la madre, che ha passato un buon quarto d’ora a leccare e lisciare il pelo della giovane che aveva appena finito il suo pasto (aveva ancora il pelo vicino alla bocca con qualche traccia rossa). Visti così sembrerebbero dei simpatici gattoni, ma dopo il tramonto…
Siamo ripartiti e dopo poche centinaia di metri abbiamo fatto la sosta-drink. Chissà perché ci veniva sempre da buttare l’occhio nella direzione in cui avevamo lasciato i leoni due minuti prima!
Nel tragitto successivo abbiamo passato ampie radure erbose piene zeppe di impala, gnu, zebre e giraffe, fino a quando, dopo una piccola collinetta, abbiamo trovato un branco misto enorme, centinaia di animali che camminavano tranquillamente tutti assieme, con molti piccoli a seguito. E’ una visione che lascia senza parole.
Verso l’una abbiamo raggiunto il lago Manze. Ha un colpo d’occhio davvero unico: una enorme serie di alberi bianchi e secchi che escono dalle sue acque poco profonde. Una immagine quasi spettrale, adattissimo come set di un film horror.
Raymond ci ha detto che quello è il luogo ideale per avvistare elefanti e infatti il terreno era una enorme distesa di impronte che loro hanno lasciato sul terreno; buchi talmente profondi che la jeep doveva avanzare di buca in buca con cautela per non rischiare di rompere un semiasse. Non vi diciamo che “sballottamento” a destra e sinistra che toccava a noi occupanti. Per fortuna dovevamo ancora pranzare!
Purtroppo niente elefanti in quel momento, quindi abbiamo proseguito per un altro paio di chilometri per poi fermarci in una ampia radura sotto una coppia di acacie. A quel punto, fuori sedie e tavolino per un memorabile pic-nic in mezzo alla savana! Mentre mangiavamo le pietanze portate dal campo (ben mantenute nel frigo portatile) avevamo in lontananza branchi di impala e gnu che proseguivano i loro percorsi. Ogni tanto qualcuno di loro ci lanciava un’occhiata incuriosita e poi riprendeva la marcia. Davvero un sogno!
Siamo ripartiti dopo aver anche fatto una mezz’oretta di relax e a poca distanza abbiamo incontrato un piccolo gruppetto di iene. E pensare che stavamo mangiando a non più di due o tre Km da loro! Poco più avanti una cosa che ci ha lasciato a bocca aperta: un baobab enorme, di una maestosità inimmaginabile. Abbiamo chiesto a Raymond di fermarci per fare assolutamente una foto con quel “gigante”, e così abbiamo fatto! Ci hanno spiegato che il baobab cresce di circa un metro di circonferenza ogni cento anni. Beh, abbiamo sommariamente misurato quello che avevamo lì davanti… Si va dai 2500 ai 3000 anni di età!!!
Salutato il “grande vecchio” abbiamo iniziato il lento rientro verso il campo. Inutile ricordare che in ogni momento c’erano animali che sbucavano fuori, comprese delle manguste e una coppia di kudu maschi, che non avevamo mai avvistato prima!
Siamo rientrati verso le 17:30, per goderci un meraviglioso tramonto seduti comodamente sui divanetti dell’area relax.
Domenica 14 ottobre ci ha visti partire la mattina per l’escursione a piedi. Si tratta di quasi tre ore di camminata, scortati da una guida e da un ranger armato, nella quale i pochi animali che si incontrano stanno abbastanza lontani (o si distanziano ben prima di essere visti, solo una elegantissima giraffa è rimasta a guardarci da una ventina di metri, ma poi anche lei ci ha lasciati). Ci hanno però insegnato a riconoscere quali animali siano passati di là dalle impronte o dalle feci, ma soprattutto ti spiegano bene la flora locale, che nelle altre uscite rimane sempre trascurata. Moltissime piante hanno seri meccanismi di difesa: spine, veleni oppure anche entrambi, come nel caso di un’euforbia che contiene un lattice gravemente ustionante per contatto con la pelle (e se per caso ne finisce sugli occhi anche una minima quantità, rende ciechi a vita!!!). Abbiamo visto l’albero dell’ebano (ormai molto raro) e “l’albero coccodrillo”, dal quale si ricava una sostanza che gli indigeni usano per le proprietà medicinali.
Abbiamo quindi raggiunto come destinazione finale la pista di atterraggio del Mtemere Gate, dove è venuta poi a prenderci la jeep per tornare al campo.
Quel pomeriggio, l’ultima uscita. Siamo tornati con Bernard in barca per un’altra escursione e abbiamo poi aspettato il tramonto direttamente dal fiume, in una delle sue ampie anse. Abbiamo incontrato di nuovo molti animali, tra cui un incontro molto ravvicinato con una coppia di aquile dalla testa bianca (african fish eagle, bellissime regine del cielo del Rufiji). Ci siamo poi volutamente “spiaggiati” di fianco ad un gruppo di grossi coccodrilli, che al nostro arrivo hanno spalancato le loro enormi bocche per tenerci alla larga.
Il ricordo stampato nella nostra mente di quella giornata rimane in ogni caso il tramonto, con la sua gamma di colori indescrivibile. Né videocamere, né macchine fotografiche sono in grado di captare quelle sfumature… Solo i nostri occhi, che le hanno ben scolpite nella nostra memoria. E’ un evento da vivere nel silenzio del fiume, da guardare e conservare per tutta la vita. E così sarà!
Lunedì 15 ottobre, abbiamo atteso l’aereo al Mtemere Gate e prima di pranzo eravamo di nuovo al villaggio Karibu.
Dopo il safari ci hanno assegnato una camera diversa, di costruzione più recente e rifinita meglio, con il bagno più grande e con l’aria condizionata funzionante!
In questi giorni il mare è stato decisamente migliore, senza il dislivello di marea della settimana precedente, di quel colore azzurro turchese che si vede nelle cartoline. E poi è caldo come se si entrasse nella vasca da bagno; davvero un piacere!
Per fortuna i “beach boys” si sono ricordati che non facevamo parte dei “nuovi arrivi”, quindi ci hanno lasciato molto più tranquilli, limitandosi a salutare e a scambiare due parole, ma senza particolare insistenza (a parte il già citato Gattuso e un altro paio di personaggi, che cercavamo bene di evitare).
Anzi, gli ultimi giorni dal “compra compra” sono passati al chiedere a noi di regalare loro qualcosa (ciabatte, cappellini, magliette, sapone, shampoo, ecc…). Visto che a Zanzibar c’è la regola fissa di mettersi a contrattare i prezzi di tutto quello che si vuole comprare, ci siamo adeguati: invece di dare in regalo quello che potevamo tranquillamente lasciare lì, lo abbiamo barattato con oggetti di artigianato locale. Sono state trattative dure e lunghe, ma anche momenti tutto sommato divertenti ed abbiamo spuntato qualche buon affare (uno dei tanti: per un cappellino e l’orologio economicissimo, comprato apposta per non portare in Africa i nostri costosi cronografi, abbiamo avuto in cambio tutti i 32 pezzi degli scacchi in pietra bianca e rosa intagliati a mano con le forme degli animali della savana. Non male direi!).
Avevamo invece portato materiale da regalare ai bambini (magliette, matite colorate, blocchi e quaderni), e le abbiamo lasciate ad una missione cattolica che gestisce una scuola elementare poco distante dal villaggio. Ci dispiace un po’ non aver potuto vedere i visi dei bambini quando le hanno ricevute, ma la consapevolezza è già sufficiente.
Le giornate sono trascorse tra spiaggia, bagni, relax pomeridiani in piscina e un po’ di moto, che non fa mai male (beach volley, calcio-tennis, partite a bocce e perfino il torneo di racchettoni con sconfitta clamorosa!!!).
Al tramonto, doccia veloce e poi al pianobar per godersi il venticello dell’oceano prima di cena. Le serate sono sempre state splendidamente riempite dagli spettacoli che gli animatori tenevano nel teatro del villaggio. Divertentissimi cabaret e una serata memorabile con una reinterpretazione tutta speciale de “La buona novella” di De André riservata ai pochi intimi che non sono andati alla discoteca sul pontile del Bravo club (sicuramente una serata diversa dal solito per un villaggio vacanze, ma molto bella e toccante. Bravi a tutti i ragazzi!). Abbiamo conosciuto persone simpatiche e divertenti con cui abbiamo fatto gruppo fisso a pranzo e a cena; quindi anche al Karibu la buona compagnia non è mai mancata!
Lunedì 22 ottobre abbiamo fatto l’unica escursione in Zanzibar, e siamo andati a Prison Island (o Changu, nella lingua locale), ovvero un’isola in cui era stata costruita nei secoli scorsi una prigione, che però non è mai stata utilizzata per questo scopo, ma solo come quarantena per malati. Per arrivarci ci siamo trasferiti in bus sulla sponda ovest di Zanzibar per poi prendere un barcone a motore che in mezz’ora ci ha portato sull’unica spiaggia dell’isola. Nel tragitto abbiamo anche intravisto dei delfini che saltavano e nuotavano paralleli alla barca, ma non si sono mai avvicinati. Peccato.
A Changu Island hanno trovato uno splendido habitat delle tartarughe giganti, molto simili a quelle delle Galapagos. Le abbiamo accarezzate come se fossero state dei gattini e abbiamo anche dato loro da mangiare delle foglie di cavolo messe a disposizione dal personale del posto… e come mangiano! La più grande dicono abbia quasi 110 anni e pesa oltre 200 Kg. Abbiamo anche intravisto una coppia di Dik-dik, l’antilope più piccola che esista. Poi, il resto della mattinata è trascorsa in libertà nella piccolissima spiaggia dell’isola, con un mare che definire di cristallo è ancora poco (e con tutte le possibili sfumature del blu)! Prima di pranzo eravamo di nuovo al Karibu.
E così siamo arrivati al giorno del ritorno a casa, il 24 ottobre, sicuramente riposati e con tanti ricordi nel cuore, il safari sopra tutto. Chissà se mai avremo la possibilità di tornare in questi posti dell’Africa… Sicuramente non potremo più dimenticare colori, immagini e paesaggi di quei luoghi meravigliosi.