Amo molto la Grecia: l’ho amata sin dai primi giorni di scuola, quando mi raccontavano le sue leggende, i miti degli dei dell’ Olimpo; ho continuato ad amarla al liceo, riscoprendola attraverso i classici, la letteratura, la filosofia e l’arte.
Poi l’ho vista e sono rimasta folgorata dalla bellezza perfetta dei templi e delle statue, dal dolce profilo delle sue colline, dal calore emanato dal suo popolo. Quando infine ho scoperto Thassos, la sua natura fiera, i suoi colori e i suoi profumi, l’aria impercettibilmente divina’ che a volte si respira laggiù, tra le rocce rosse o nei boschi più verdi, mi è capitato spesso di commuovermi perché le sensazioni e i sentimenti che quest’isola trasmetteva erano e sono di intensità unica.
Eppure c’è qualcosa di veramente speciale in lei, Thassos la Verde. Ricordo ancora il mio primo giorno d’arrivo, il cielo plumbeo, un paesino insulso, la terra bruciata dal fuoco che non perdona. -Ma dove sono finita? Dove mi hanno portato?- mi chiedevo quella sera seduta al tavolino di un ristorante sul lungo mare sorseggiando uno stucchevole ouzo. Non potevo immaginare che già allora il gioco di seduzione si era messo in moto, che già allora il profumo che aleggiava nell’aria mi si stava attaccando sulla pelle e che le luci e i colori di quel frammento di Grecia si stavano imprimendo per sempre nella mia memoria e nel mio spirito.
E mentre ero lì, seduta sotto il pergolato della taverna in quella calda nottata di fine Luglio, vedevo tutti i miei amici, mio fratello incluso, sorridere con una luce speciale nei loro occhi e rievocare entusiasti i bei momenti trascorsi sull’isola le estati passate: -Cosa avranno mai da ridere tanto, donde proviene quest’euforia ingiustificata e improvvisa?- mi domandavo scettica.
Ma ora so da dove venivano quell’entusiasmo iniziale, quel bagliore che serpeggiava fugace nei loro occhi: ora mi è chiara ogni cosa, le lunghe attese annuali di mio fratello, il suo puntuale ritorno a Thassos, dove gli alberi secolari e verdissimi, sopravvissuti nella zona di Prinos Alta, lasciano immaginare come poteva essere stata quell’isola fino a quattro anni prima, quando non era ancora stata deturpata dal fuoco: eppure, nonostante i solchi, nonostante i tronchi bruciati, lei è grande, infinitamente potente e la sua forza viene trasmessa a chi riesce a cogliere il suo spirito libero, il sottile fruscìo delle foglie nei boschi , le stelle baluginanti nel mare in una tiepida notte d’Agosto, i tramonti rosso-viola e le albe giallo-rosa che ti corrono incontro facendo capolino tra le curve dei monti mentre torni a casa alle sei di mattina.
Forse manca il contatto con il mondo reale sulle chiare spiagge di Thassos, fra le rovine di templi antichi, fra un capitello e un tholos, tra un’anfora e un cespuglio di ginepro. E questo essere avulsi dal contesto quotidiano che ci tocca sorbire e fastidiosamente odio-amare per trecento trenta giorni l’anno, questo dolce sentire e respirare a pieni polmoni il profumo della libertà e della storia più antica, ci fa sentire ad un tempo fortunati e grandi noi che l’abbiamo conosciuta, noi che l’abbiamo vissuta la Grecia, noi che l’abbiamo assaporata stando seduti davanti ad un dolce yogurt al miele o ad un piatto di capretto in quel di Theologos….
Theologos: ‘parola del dio’… parola degli dei che non c’è luogo più squisitamente divino di questa terra di Grecia; parola mia che non c’è nettare più dolce di un bicchiere di latte macedone, cremoso come la panna e superno quanto l’ambrosia; parola mia che a volte sembrava di udirle le voci sussurrate degli dei, quando correvo nel vento sulle strade di Thassos la Verde e vedevo gli alberi e i cespugli scorrere ai lati mentre un profumo stordente mi solleticava le narici e l’aria leggera del primo mattino agitava i miei capelli e faceva sussultare la mia anima: ‘ ..Si scorgono gli dei qui e là, luminosi, immateriali, come visioni, ma li si avverte soprattutto nell’energia che promana da ciò che furono e operarono. Qui gli dei rimangono in ciò che è invisibilmente presente e popolano, demoni invisibili, la natura’.
Così ogni giorno, quando il sole era alto nel cielo, il tuffo nelle limpide e tiepide acque dell’Egeo era come un gettarsi tra le braccia del dio dalle lunghe chiome azzurre, re del mare e delle onde che muoiono sulla battigia accarezzandoti piano le gambe levigate e dorate dal sole: il sole giallo, il globo luminoso di Febo Apollo che scalda la pelle imperlata di gocce trasparenti e salmastre. Poi, ora dopo ora, scendeva la sera sul cielo di Grecia e Borea soffiava, soffiava piano, alito fresco d’altri tempi, stralcio di pura leggenda nel cielo stellato di un’ indimenticabile notte d’ Agosto.
La luminosa bellezza della volta stellata e il brillare a intermittenza del mare, specchio notturno delle stelle che, come mille diamanti , sembravano poggiare sul fondo, tutto questo dava un po’ alla testa, lasciava storditi come una sorsata improvvisa di tequila a stomaco vuoto, mentre il vento ti gettava in faccia con irriverente eleganza le ciocche dei tuoi capelli.
Mi accorgevo allora che essere lì significava non mancare all’appuntamento con i propri sogni di sempre: nei boschi il profumo di Pan impregnava l’aria e i sentieri tanto che lo si sentiva addosso su di sè, sugli altri e veniva da sorridere perchè era allora che si capiva di essere ormai parte del gioco nel doppio ruolo di ‘pedina’ e di ‘artefice. E giorno dopo giorno, assaporando la magia di quei luoghi diveniva allora chiaro e scontato che quella fosse stata in passato l’isola delle sirene di Ulisse, come molti greci amano credere, l’ isola delle sirene che cantavano laggiù, sul promontorio dopo Tripiti. E l’incanto continua dopo secoli e millenni, le sirene ci sono ancora su quest’ isola, sono dentro di lei, sono parte di lei ed è facile capirlo: lo capisci quando senti stringerti il petto dolcemente come se una mano delicata e forte ti afferrasse piano; te ne avvedi quando ti scopri a pensare che se fossi un dio dell’ Olimpo potresti rallentare la corsa del tempo e godere più a lungo di questi luoghi .
Allora – mi dicevo – allora, sentiamoci anche noi un pò dei e un pò invincibili perchè in fondo dopo tutto lo siamo davvero, noi con le nostre manie e le nostre presunzioni , i nostri colpi di testa e le piccole grandi follie pensate e dette in un pomeriggio estivo: è anche quel saper ridere di ogni cosa, quel sapersi divertire correndo per le strade deserte di un paesino sperduto che si affaccia sulla sponda nord-est del mare Egeo con una pitta calda tra le mani, è anche tutto questo e soprattutto il prenderne coscienza in quel preciso istante che fa di noi i sovrani dell’attimo che fugge e non ritorna.
É dura poi rivivere il grigiore di una città che a tratti senti tua, a tratti senti nemica: ma è giusto sia così perchè probabilmente se così non fosse quella terra di dei e di ‘Uomini’ non sembrerebbe tanto straordinaria e degna di memoria.
E allora – ripetevo a me stessa- sàziati finché puoi, sàziati fino alla nausea se nausea potrai mai avere di lei, ‘mangiala’ avidamente, assapora i suoi gusti forti e decisi, bevi alle sue fonti limpide e impetuose, lasciati cadere per un attimo nella fugace illusione del suo possesso, fa di lei la tua magnifica ossessione estiva, respira la sua aria, soffio impercettibile di immortalità, lascia che la città si scordi di te per un po’ mentre esaltazione folle e gioia travolgente prendano il sopravvento, dimentica ogni buona raccomandazione e getta via le istruzioni per l’uso della razionalità, non stupirti mai di nulla laggiù perchè presto imparerai che là tutto sembra possibile più che altrove , che un Sirtaki non è meno bello di un Fandango, che non occorre andare fino a Kayolargo per struggersi d’ emozione di fronte a un tramonto rosa-purpureo e che, in fondo in fondo, ognuno di noi racchiude in sè uno spicchio di Grecia.
Grecia …se fossi persona ti amerei da impazzire. Sei bella. Sei bella davvero perchè la tua bellezza non si ferma al tuo aspetto, si insinua più oltre, in profondità, giù e più giù ancora, dentro di te, fuori di te, tutt’intorno, nel tuo popolo.
Se fossi persona ti vorrei più di ogni altra cosa. Ma non mi inganni, no, so bene dove sta il trucco: è il non averti che ti fa desiderare, è il non possesso che ti fa rimpiangere in modo così plateale ed unanime; è la tua lunga assenza che fa innalzare e idealizzare la tua memoria.
Per questo non ti voglio: perchè voglio che tu rimanga il sogno delle notti di pioggia e di nebbia, il mito lontano di un’estate marina, il bisogno di libertà e di sè stessi che ognuno soddisfa in te a suo modo.