Bali, dove gli animali sono sacri, dove si portano doni e si recitano preghiere propiziatorie persino agli dei del male: per ammansirli.
Era da anni nell’aria questo viaggio rimandato sempre, chissà perché poi, ed andava crescendo in noi il desiderio di riprendere i nostri vagabondaggi in terre lontane , diverse dalla nostra.
Perciò, decisi a raggirare il freddo febbraio italico, abbiamo riempito due valigie di costumi da bagno, T-shirts leggerissimi pareo e shorts ( notevole la capacità di una donna di stipare una marea di indumenti che spesso si rivelano inutili ) e, Fiumicino e il Boing ci accolgono sotto un vento di tramontana.
Dopo dieci ore, tappa a Bangkok; altra attesa e poi :l’ultimo salto e…siamo a Bali. In tutto venti ore, ma ne abbiamo …guadagnate ben 8.
L’aria è bollente, il cielo grigio ( è la stagione delle piogge), la pelle inizia ad espellere un calore umidiccio. Favoloso! Ti senti ricoperta di gocce calde.
Ci guardiamo intorno un po’ sfasati per la mancanza di sonno e la lunga immobilità e scopriamo un mondo dove i colori predominanti sono tutte le tonalità del verde, quelli infiniti di infiniti fiori ed il nero delle statue. Un mondo che racchiude un’intera tavolozza!
Si, Bali: l’Isola degli dei. Dove gli animali sono sacri, dove si portano doni e si recitano preghiere propiziatorie persino agli dei del male: per ammansirli. Dove ogni casa ha i suoi tempietti più o meno importanti, a seconda delle possibilità economiche del proprietario. Sovente più grandi delle abitazioni. Templi dedicati anche agli antenati, ai quali diverse volte al giorno, si portano cestini intrecciati con foglie di palma , pieni di fiori, frutti, riso e bastoncini d’incenso.
La spiritualità che permea questo popolo, sorridente, cortese, sempre pronto a discorrere, è quasi tangibile. Visi fanciulleschi che si tramutano in tratti incartapecoriti . E tu, da buon europeo, prendi gli uni per troppo giovani e gli altri per troppo vecchi.
Parlano volentieri con noi. Imparano così l’italiano. Per loro non è facile, perché la loro lingua non prevede regole grammaticali. I verbi non hanno una coniugazione. Ieri andato; oggi andato, domani andato. Beati loro e la loro semplicità. Sciorinano con orgoglio tutti i nomi dei calciatori (della Roma; e mi scusino i laziali). Merito di Rai International. Ammetto, senza vergogna la mia ignoranza.
La zona dove sorge il nostro Albergo: il Putri Bali ( ossia “ragazza balinese”) è un immenso parco tropicale, tranquillo e pulitissimo. Già la Hall , enorme con soffitto a cupola e tutto aperto verso giardini tropicali, laghetti interni sui quali si affacciano ristoranti e bars, ci conquista anche con il sorriso del personale in costume del luogo. Ovunque statue di strani esseri : scimmie, draghi, fanciulle e mostri. La spiaggia è bianca, a pochi passi e mangrovie allargano la loro capigliatura per rendere meno intensi i raggi del sole che filtrano dal cielo grigio. Sulla riva, tra le braccia delle statue, spesso riparate da graziosi ombrellini (anch’essi simboleggiano il sacro, ma anche la festa, a seconda del colore), ancora ciotole colme di fiori ed incenso. Era questo l’Eden che abbiamo perduto nelle nostre città fumose e caotiche?
Dormire, al momento nessun’altro desiderio domina la nostra mente ed i corpi. Domani è un altro giorno. Infatti all’indomani ci mettiamo d’accordo con la guida del luogo. Si fa chiamare Lupo: il suo nome in balinese è troppo complicato, ed organizziamo due visite per l’isola. Due cose sono necessarie: chi sappia guidare (con guida a sinistra) per il continuo saliscendi di strade strette e trafficate e chi ti spieghi le usanze, le tradizioni, la vita e i vari templi.
Intanto, momenti di completo relax fra uno scroscio di pioggia violentissimo e un riapparire repentino di sole che ti arrostisce. Le gocce sono talmente sferzanti che paiono aghi sottili che si infilino a velocità sostenuta nella pelle. Abbiamo già imparato da quale parte verrà e fra quanto.
Siamo di nuovo in movimento Lupo ci attende puntuale. Siamo solo noi due il nostro amico e l’autista. Bellissimo: potrò porgli tutte le domande che vorrò. E sono talmente tante. Lui è felice di rispondere. Mi parla delle caste che sono quattro – i Bramini (sacerdoti ) – Ksatria ( stirpe regale) – Weisya (mercanti) – Sudra (contadini)
Lupo appartiene a quest’ultima e nonostante sappia leggere, scrivere sia il dialetto del suo villaggio, che l’indonesiano (lingua ufficiale) ed il sanscrito (antica lingua ormai relegata ai libri sacri), è legato mani e piedi alla sua casta. Non potrà mai sposare una giovane di casta superiore, non potrà mai pregare se non nel tempio della sua casta. Non potrà mai appartenere a nessun’altra casta con tutte le limitazioni che questo rappresenta; sia per lui che per i suoi figli. Prima regola ferrea e per noi europei quasi inaccettabile. Ma per loro è naturale. Lupo ne parla come di un fatto non solo ovvio, ma giusto. Egli è un komang, il terzo figlio maschio. Mentre naian è il primo, neugan il seondo, il quarto ketut, etc….
I figli maschi sono essenziali per i genitori. Non essendoci “ la pensione” ad essi è affidato il compito di assisterli fino alla morte nella casa paterna, insieme alla sposa che si sceglieranno, o meglio che sarà scelta (ma oggi la tendenza sta cambiando).Le figlie andranno nella casa del marito e pur restando legate affettivamente alla casa d’origine, non avranno altri compiti da assolvere verso i propri genitori, ma solo nei confronti dei suoceri.
Ho spedito a Lupo due foto (le foto sono sempre molto gradite), e l’indirizzo mi è costato tempo ed applicazione. A parte l’indirizzo, il nome era: Ikomang Lupo / Parsa (Primo il nome balinese del terzo figlio, secondo il suo nome chiamamolo, internazionale, terzo il nome della casata.
Mi interessa molto la loro vita, il loro pensare, le tradizioni antichissime di questo popolo di pura fede indù. Una filosofia di vita, una traccia che li segue dalla vita alla morte ed oltre. Rimango sbalordita quando mi dice che per far frequentare la scuola dell’obbligo ai figli, i genitori debbono pagare. Mentre se si mostrano particolarmente dotati e portati allo studio, dalle superiori in poi è lo Stato che si accolla tutte le spese. Gli stipendi sono bassissimi. Un dollaro equivale a 10.000 rupìe. Mensilmente si possono guadagnare da 300 a 700 mila rupìe .Nutrirsi non costa molto. Decine e decine di banchetti offrono ad ogni ora del giorno e della notte riso lessato, riso fritto, spaghetti di soia (ottimi) con sughi di verdure speziate. Si mangia poco, ma ad ogni ora del giorno. Appunto: quanto si ha appetito.
I templi , a parte quelli di casa, sono molti per un’isola relativamente piccola. C’è il Tempio Madre, il più antico e più grande. Posto alle pendici di un vulcano perennemente avvolto da nuvole imbronciate. Il tempio del lago, bellissimo, posto su un profondo lago di formazione vulcanica e dove troviamo un albero gigante: un Ficus Benjamin che conta oltre 400 anni ed è quindi un luogo sacro ed il tempio del mare. Intorno stanno ora costruendo una barriera poiché si trova sulle rive dell’Oceano Indiano. Le onde sono prepotenti ed alte e corrodono la terra per cui ormai il tempio è quasi un’isola. Peccato se andasse perso. C’è il tempio delle scimmie e dei pipistrelli giganti . La grotta dei pipistrelli sacri. Noi non possiamo entrare. In specialmodo le donne, alle quali è proibito l’accesso nel periodo mestruale (con tanto di esplicito cartello). Ma una sbirciatina ed uno scatto riusciamo a farli.
C’è un’altra dote che hanno i balinesi ed è una capacità artistica e manuale molto sviluppata. Quadri naif, stoffe di seta e cotone con bellissimi disegni batik. Intagliare il legno è qui un’arte portata fino all’eccesso dei particolari. Il tutto rigorosamente a mano e viene espressa solo la creatività individuale .
Un giorno ci siamo imbattuti in un corteo strano . Tutti portavano delle camice nere sulle lunghe gonne multicolori e una decina di uomini barcollanti teneva sospeso, alto sulle teste, come un fagotto avvolto in una stuoia. Camminavano per la via come danzando . Un idrante li inzuppava, loro ed il morto che accompagnavano ad un cimitero provvisorio. Si, perché la cremazione sarebbe avvenuta successivamente. Quando la famiglia avesse racimolato il denaro necessario per far venire il sacerdote, fargli dei doni, anche in denaro, trovare il giorno propizio agli dei della morte . Comprare l’urna e poi spargere le ceneri nel fiume che porta al mare. In ultimo erigere il piccolo tempio di famiglia per ricordarlo degnamente e tenere così la sua anima ancorata alla sua casa.
A proposito , i sacerdoti indù hanno tutti più di settant’anni; solo a quell’età si ritiene, abbiano superato il richiamo dei sensi e possano dedicarsi totalmente ai loro dei.
A questo punto mi fermo, anche se sarebbero tante ancora le note caratteriali e religiose di questo popolo che ci hanno colpito , non per ultimo la loro estrema pulizia, la loro disponibilità, la loro allegra giovialità. Ora lascio parlare le foto. Premetto : sono una dilettante.
A presto dunque; al prossimo viaggio. Viaggio che è stato o che sarà. Chissà!!
di: Ele